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di
Gabriele Villa Il
racconto "L'ultima fessura delle Dolomiti" è stato pubblicato
su INTRAISASSblog sabato 8 settembre 2007 e da lì viene ripreso e
pubblicato su Intraigiarùn, tal quale. ***
Sicché la ricerca prosegue e così si trova anche chi ne ha scritto: è
Alessandro Gogna nel suo libro “SENTIERI VERTICALI” edito dalla
Zanichelli nel 1987, che non a caso fa la storia dell’alpinismo nelle
Dolomiti vista attraverso gli itinerari tracciati sulle pareti. Leggiamo
insieme: <La bella Torre di
Valgrande aveva in serbo per i valligiani più volonterosi una bellissima
fessura sul versante meridionale. Mariano De Toni, custode del Coldai e
Cesare “Ceci” Pollazzon, entrambi di Alleghe, con l’uso di 12 chiodi
salirono la fessura. Questa, dopo un periodo di indifferenza, nel 1951 fu
valutata dai ripetitori per quello che è, cioè un’estrema arrampicata
di fessura. Dopo Tissi, dopo Vinatzer, furono ancora i valligiani a
spingere oltre il limite. La via delle Guide, come fu chiamata in seguito,
ebbe la prima ascensione totalmente in libera (rotpunkt) nel 1977 (Heinz
Mariacher e Luisa Jovane). Con ciò si scoprì che si era nel 7° grado.
Il passaggio chiave, secondo loro, è più difficile della Pumprisse in
Kaisergebirge, inizio ufficiale del 7°grado. Dato che il tiro più duro
è stato salito da De Toni e Pollazzon con soli otto chiodi, si può
facilmente dedurre che essi toccarono certamente il 7° grado della nostra
odierna scala UIAA. Il capocordata De Toni si trovò ad improvvisare un
off-width ante litteram, praticamente l’unico sistema per superare
fessure che non permettono al corpo di entrare ma nello stesso tempo sono
troppo larghe per l’uso del solo braccio: la più faticosa delle
sofisticate tecniche di arrampicata ad incastro perfezionate in America!
E’ pur vero che De Toni usò un cordino per staffa e che anche gli altri
sette chiodi furono usati per progressione, ma chi ha fatto quella fessura
è in grado di testimoniare quanta forza, resistenza e coraggio siano
ancora oggi necessari. Un autentico capolavoro di arrampicata libera,
l’ultima fessura delle Dolomiti.> Ecco allora
delinearsi con precisione i contorni dell’impresa di Mariano De Toni e
Cesare Pollazzon in quel lontano 1941, con gli scarponi e il materiale a
disposizione a quei tempi che certamente oggi possiamo definire
“rudimentale”. Un altro importante tassello di comprensione lo offre
una testimonianza “a voce”, frutto di una recentissima chiacchierata
con il mio amico “quasi” d’infanzia Bruno De Donà, a sua volta
guida alpina. Gli racconto del quesito posto dal mio amico alpinista e
chiedo della fessura, se l’ha salita e se può dirmi qualcosa in
proposito. “Ostis! – è il
suo intercalare caratteristico – L’ho
fatta sì, cinque volte, anche con clienti. Più che di grado bisogna
parlare di “estremo”. Ne trovi di quei tratti se giri per le Dolomiti.
Quanti si sono trovati in una situazione in cui l’unica soluzione era
andare avanti per non cadere? Allora fai l’estremo, quello è la fessura
della Valgrande. Io parlai con entrambi i salitori e ti posso dire che il
Mariano era uno forte come un toro, molto resistente e lì lui ce l’ha
messa tutta la sua forza e la sua resistenza, altrimenti sarebbe caduto.
Non aveva alternative. Mica come oggi che fanno il 10° grado ma con tutte
le protezioni. Quello è un gioco, mica alpinismo. Lo avevano capito di
sicuro i tedeschi che fecero la prima ripetizione della via e andarono ad
Alleghe a cercare Pollazzon per complimentarsi per la salita. Il 7° grado
l’hanno fatto ben prima degli anni ’70 e basta girare per le Dolomiti
per accorgersene.>
Sono soddisfatto della
ricomposizione di questo piccolo mosaico. E la risposta ottenuta mi conferma un’idea che si è andata
sempre più rafforzando in me: negli ultimi anni non è evoluto
l’alpinismo, ma la tecnologia legata ad esso e soprattutto ai mezzi
propri utilizzati nell’arrampicata.
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