L’ultima fessura delle Dolomiti
di
Gabriele Villa
Il
racconto "L'ultima fessura delle Dolomiti" è stato pubblicato
su INTRAISASSblog sabato 8 settembre 2007 e da lì viene ripreso e
pubblicato su Intraigiarùn, tal quale.
Lo spunto è venuto dopo la ripetizione della "via delle guide"
alla Torre di Valgrande in Civetta ad opera di Michele "Chicco"
Scuccimarra, Riccardo "Gago" Barbieri, Michele "Mike"
Ghelli, Paolo "Doc" Gorini, effettuata domenica 26 agosto 2007.
La salita, per le forti difficoltà tecniche in presenza di scarse
protezioni sicure, ha dato adito alla domanda su come fossero riusciti a
superarle i primi salitori nel lontano settembre del 1941.
Ne è uscita una piccola ma approfondita ricerca svolta sia su libri e
pubblicazioni che anche contattando direttamente persone "informate
dei fatti"; insomma una piccola ricerca storica che ha dato
"buoni frutti", consentendo di andare a scoprire uno dei più
preziosi "gioielli alpinistici" racchiusi nel grande scrigno
della Civetta.
***
La storia dell’alpinismo la si
legge sui libri che la raccontano o se ne trovano riscontri importanti
nelle autobiografie dei “grandi” che ne sono stati protagonisti con le
loro imprese, altre volte vi ci si imbatte ripetendo certe vie di
arrampicata, sapendone cogliere il significato storico. Giorni fa mi
telefona un amico, uno di quelli che “vanno” e che, sapendo della mia
buona conoscenza della storia dell’alpinismo, pensa (forse) che io sia
in grado se non di dare spiegazioni, almeno di capire i termini della
questione che intende propormi. “Siamo
andati a fare la fessura sulla parete Sud della Torre di Valgrande. Altro
che sesto grado: ma che roba è? Siamo a livello di settimo grado, ma la
via è del 1941. Ma allora i “grandi” non sono solo quelli scritti sui
libri. Ce ne sono altri cui “ufficialmente” non è stato riconosciuto
il giusto valore e sono rimasti emeriti sconosciuti”.
Vado a leggere
sulla guida CIVETTA di Oscar Kelemina, seconda edizione del 1986: <Parete
Sud, “Via delle guide”, sviluppo
250 metri
, Mariano De Toni e Cesare Pollazzon, 10-9-1941. E’ una delle più
difficili e impegnative vie in arrampicata libera di tutto il gruppo. Le
difficoltà nel tratto centrale sono continue ed estreme. La denominazione
è dovuta ai primi salitori che sono guide alpine di Alleghe.>
Beh, intanto bisogna dire
“erano” perché sono passati più di vent’anni e il Mariano e il
“Ceci” hanno concluso il loro percorso di vita. Fa pensare quel “più
difficili ed impegnative vie in arrampicata libera di tutto il gruppo”
quando questo è il Civetta con una parete nord-ovest che racchiude vie
storiche della lunghezza di oltre
1000 metri
che ha visto passare tutti i grandi dell’alpinismo dolomitico. A volte
certe risposte non si trovano sui libri, ma può aiutare la memoria di chi
è stato sul “luogo del delitto”, cioè ha ripetuto la via, affrontato
quelle stesse difficoltà. Sicchè l’amico comincia una ricerca
personale che passa anche attraverso un colloquio telefonico con uno che
ne sa qualcosa, Alberto Peruffo, il quale gli racconta di Giacomo Albiero,
espertissimo alpinista e Accademico del Cai, che gli ha raccontato di
quella fessura salita con due giovani e forti arrampicatori di Vicenza,
qualche decina di anni fa. I giovani non se la sentirono di passare e fu
l’esperto Accademico a prendere il comando della cordata, venendo a capo
del problema facendo ricorso a sofisticati funambolismi, anche di
arrampicata artificiale, sotto gli occhi increduli e spaventati dei
giovani, per niente avvezzi a protezioni aleatorie. Un’altra
informazione che arriva a voce è quella di Renato De Zordo, gestore del
Rifugio Coldai, che ha detto loro che la fessura “non
è da tutti” e che parecchie cordate sono tornate senza essere
riuscite a passare.
Sicché la ricerca prosegue e così si trova anche chi ne ha scritto: è
Alessandro Gogna nel suo libro “SENTIERI VERTICALI” edito dalla
Zanichelli nel 1987, che non a caso fa la storia dell’alpinismo nelle
Dolomiti vista attraverso gli itinerari tracciati sulle pareti. Leggiamo
insieme: <La bella Torre di
Valgrande aveva in serbo per i valligiani più volonterosi una bellissima
fessura sul versante meridionale. Mariano De Toni, custode del Coldai e
Cesare “Ceci” Pollazzon, entrambi di Alleghe, con l’uso di 12 chiodi
salirono la fessura. Questa, dopo un periodo di indifferenza, nel 1951 fu
valutata dai ripetitori per quello che è, cioè un’estrema arrampicata
di fessura. Dopo Tissi, dopo Vinatzer, furono ancora i valligiani a
spingere oltre il limite. La via delle Guide, come fu chiamata in seguito,
ebbe la prima ascensione totalmente in libera (rotpunkt) nel 1977 (Heinz
Mariacher e Luisa Jovane). Con ciò si scoprì che si era nel 7° grado.
Il passaggio chiave, secondo loro, è più difficile della Pumprisse in
Kaisergebirge, inizio ufficiale del 7°grado. Dato che il tiro più duro
è stato salito da De Toni e Pollazzon con soli otto chiodi, si può
facilmente dedurre che essi toccarono certamente il 7° grado della nostra
odierna scala UIAA. Il capocordata De Toni si trovò ad improvvisare un
off-width ante litteram, praticamente l’unico sistema per superare
fessure che non permettono al corpo di entrare ma nello stesso tempo sono
troppo larghe per l’uso del solo braccio: la più faticosa delle
sofisticate tecniche di arrampicata ad incastro perfezionate in America!
E’ pur vero che De Toni usò un cordino per staffa e che anche gli altri
sette chiodi furono usati per progressione, ma chi ha fatto quella fessura
è in grado di testimoniare quanta forza, resistenza e coraggio siano
ancora oggi necessari. Un autentico capolavoro di arrampicata libera,
l’ultima fessura delle Dolomiti.>
Ecco allora
delinearsi con precisione i contorni dell’impresa di Mariano De Toni e
Cesare Pollazzon in quel lontano 1941, con gli scarponi e il materiale a
disposizione a quei tempi che certamente oggi possiamo definire
“rudimentale”. Un altro importante tassello di comprensione lo offre
una testimonianza “a voce”, frutto di una recentissima chiacchierata
con il mio amico “quasi” d’infanzia Bruno De Donà, a sua volta
guida alpina. Gli racconto del quesito posto dal mio amico alpinista e
chiedo della fessura, se l’ha salita e se può dirmi qualcosa in
proposito. “Ostis! – è il
suo intercalare caratteristico – L’ho
fatta sì, cinque volte, anche con clienti. Più che di grado bisogna
parlare di “estremo”. Ne trovi di quei tratti se giri per le Dolomiti.
Quanti si sono trovati in una situazione in cui l’unica soluzione era
andare avanti per non cadere? Allora fai l’estremo, quello è la fessura
della Valgrande. Io parlai con entrambi i salitori e ti posso dire che il
Mariano era uno forte come un toro, molto resistente e lì lui ce l’ha
messa tutta la sua forza e la sua resistenza, altrimenti sarebbe caduto.
Non aveva alternative. Mica come oggi che fanno il 10° grado ma con tutte
le protezioni. Quello è un gioco, mica alpinismo. Lo avevano capito di
sicuro i tedeschi che fecero la prima ripetizione della via e andarono ad
Alleghe a cercare Pollazzon per complimentarsi per la salita. Il 7° grado
l’hanno fatto ben prima degli anni ’70 e basta girare per le Dolomiti
per accorgersene.>
  
Sono soddisfatto della
ricomposizione di questo piccolo mosaico.
Non ho voluto fare una ricerca
storica ma solamente cercato di rispondere ad una curiosità naturale ed
istintiva.
E la risposta ottenuta mi conferma un’idea che si è andata
sempre più rafforzando in me: negli ultimi anni non è evoluto
l’alpinismo, ma la tecnologia legata ad esso e soprattutto ai mezzi
propri utilizzati nell’arrampicata.
Gabriele Villa
Ferrara, venerdì 07 settembre
2007
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